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Invasivo, non invasivo, mini-invasivo: un po' di chiarezza sulle definizioni

Problemi di vocabolario

  • Beauty Forum

Le parole contano: ce ne rendiamo conto ogni volta che fatichiamo a spiegare a una cliente in cosa consiste, nello specifico, un certo trattamento. Quando estetica e medicina collaborano, è fondamentale che la terminologia sia comune e condivisa; a partire dalla grande (e spesso confusa) distinzione tra procedura "non invasiva", "mini-invasiva" e "invasiva".

 

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Medical Beauty

 

Definizioni come “lieve”, “delicato”, “pesante” sono talmente diffuse nel vocabolario di tutti i giorni da lasciare spazio a un ampio margine interpretativo. Quando si tratta di terminologia estetica professionale, però, la situazione è ben diversa: qui, infatti, tutto ruota intorno a definizioni precise e circoscritte. Eppure, anche in questi contesti specialistici non è raro che l’interpretazione di uno stesso termine differisca da persona a persona; accade, ad esempio, con il concetto di “invasivo” e con i correlati concetti di “non invasivo” e “mini-invasivo”, che spesso creano confusione e incertezze non solo tra gli operatori del settore, ma anche e soprattutto nelle pazienti/clienti. Per cercare di rimediare a questi dubbi terminologici e ai fraintendimenti che possono generare, diamo loro uno sguardo più da vicino, cercando di comprendere con precisione ciò a cui si riferiscono.

Uno sguardo a Wiki & Co.

Come molti altri termini medici, anche “invasivo” ha un’origine latina: deriva dal verbo “invado”, che significa “entrare dentro, penetrare”. Il termine “invasivo” , quindi, definisce quanto un trattamento estetico è “penetrante” o, in altri termini, in che misura lede i tessuti.
Ci troviamo già davanti al primo interrogativo, perché molti trattamenti che dovrebbero teoricamente essere definiti invasivi, nella realtà dei fatti non sono etichettati come tali. A rigor di termine, qualunque prelievo di sangue dovrebbe essere definito invasivo in quanto, siccome viene inserito un ago, vengono lesi dei tessuti. Aperta e chiusa parentesi, torniamo in ambito estetico e cerchiamo di arrivare al nocciolo della questione partendo con la prima categoria presa in analisi: quella dei trattamenti non invasivi.

Non invasivo: la definizione più amata

Oggi si tende a sbandierare spesso e volentieri l’etichetta di “non invasivo” e il motivo è presto detto: il concetto di “spesa contenuta” unito a quello di “zero rischi” è una combinazione che alle clienti non può che piacere.
I trattamenti non invasivi non ledono né i tessuti adiposi, né quelli connettivi; vengono eseguiti solo in superficie e agiscono principalmente stimolando le cellule dell’organismo che li riceve. L’altra faccia della medaglia è che la loro efficacia è ovviamente più limitata rispetto ai trattamenti maggiormente invasivi. Una condizione a cui è comunque facile porre rimedio.
Va da sé che, quando si parla di trattamenti non invasivi, si parla anche di trattamenti continuativi: è la perseveranza la chiave per il loro successo, e se non vi si sottopone in modo assiduo e regolare è difficile raggiungere e mantenere esiti soddisfacenti.
Per via di queste due caratteristiche - azione superficiale da un lato, necessità di sedute regolari dall’altro - questi trattamenti sono il pane quotidiano di moltissimi istituti di bellezza, si pensi solo alla microdermoabrasione, alle terapie con luce pulsata o con ultrasuoni.

Mini-invasivo: è davvero così?

Passiamo ora all’area dei trattamenti mini-invasivi e iniziamo dando uno sguardo ai criteri che vengono presi in considerazione per definirli tali:

  • La possibilità di traumi per la pelle e i tessuti molli è minima.
  • Sono più delicati se paragonati ad altre tecniche che hanno i medesimi obiettivi.
  • Causano dei minimi effetti collaterali (come dolore, gonfiore, ematomi).
  • Sono caratterizzati da tempi di recupero rapidi.

Tenendo conto di questa definizione, appare evidente come l’etichetta “mini-invasivo” sia tutt’altro che univoca: concetti come “possibilità minima di traumi”, “tecnica delicata” ed “effetti collaterali minori”, pur essendo accolti positivamente da clienti e pazienti, lasciano comunque ampio spazio all’interpretazione personale. L’impressione che se ne ricava è che con un (minimo) sforzo e rischio sia possibile generare il più grande effetto possibile (invasivo). Per quanto riguarda lo sforzo, questa supposizione è grosso modo corretta; quando però si parla di rischi, quelli implicati dai trattamenti mini-invasivi sono spesso sottovalutati - e, con essi, anche molti altri aspetti. Prima di procedere, analizziamo questo aspetto in modo più approfondito.

LESIONI DELLA PELLE E DEI TESSUTI
Con buona cognizione, la maggior parte delle moderne tecnologie estetiche può essere definita mini-invasiva: la loro azione non causa cicatrici e le lesioni ai tessuti sono minime (come, ad esempio, nel caso delle iniezioni sottocutanee per il rimpolpamento delle rughe); ci sono addirittura dei casi specifici (come il microneedling) in cui le lesioni sono provocate intenzionalmente per stimolare una precisa risposta da parte della pelle. Quello che, a prima vista, può suonare sconcertante per molti profani è invece convincente se analizzato più nel dettaglio: una lesione mirata di alcuni tessuti, infatti, serve a stimolare la formazione di nuovi tessuti. In altri casi (come quello della criolipolisi per la riduzione del grasso corporeo), il tessuto che viene leso (lipidico, in questo caso) è addirittura rimosso definitivamente. In tutti questi contesti si lavora con lesioni, anche se piccole; chiaramente questo implica che l’operatore che esegue queste procedure possieda delle conoscenze molto precise di anatomia e padroneggi alla perfezione i meccanismi di funzionamento dell’organismo; l’utilizzo avveduto e prudente di queste tecniche è cruciale per evitare sgradevoli sorprese - ovvero i potenziali “rischi” di cui abbiamo parlato.

TRATTAMENTI MINI-INVASIVI ALLA PROVA DEL RISCHIO
Diamo ora un’occhiata più ravvicinata ad alcune procedure molto in voga e testiamole tenendo conto dei loro potenziali di rischio. Questo non significa calcolare se e quanto vengano lesi dei tessuti perché, come abbiamo visto, la lesione è parte integrante di questo tipo di trattamenti e non rappresenta, di per sé, un fattore di rischio.
Con “rischio” ci riferiamo invece all’eventualità che, in caso di errori nella procedura, la lesione possa provocare danni irreparabili ai tessuti.
• Luce pulsata: i sistemi IPL (Intense Pulsed Light) sono oggi molto utilizzati in numerosi istituti di bellezza, in particolare nei trattamenti di epilazione definitiva. Spesso e volentieri le case produttrici li marchiano come “non invasivi”, ma data la loro prossimità (fisicamente parlando) al laser e ai suoi meccanismi di azione (distruzione dei follicoli piliferi durante la fototermolisi, tra gli altri) non si tratta assolutamente di una classificazione veritiera.
Se ci basiamo sui criteri elencati poco sopra, la luce pulsata rientra certamente nella categoria dei sistemi mini-invasivi e che devono essere eseguiti da un operatore esperto, onde evitare ustioni e sgradevoli anomalie nella pigmentazione. Potenziale di rischio: alto.
Microneedling: attualmente, nessun trattamento polarizza l’opinione degli addetti ai lavori quanto il microneedling. Il sistema si sta diffondendo negli istituti di bellezza, ma molti medici estetici mettono in guardia sulla sua esecuzione. A ciò si aggiunge la mancanza di una specifica normativa in merito (come accade purtroppo per molte procedure estetiche in Italia, ndr). Tutti ottimi motivi per fermarci a esaminare questa procedura più nel dettaglio.
Dal punto di vista tecnico, il microneedling va a produrre una serie di lesioni più o meno gravi nella pelle; ne risulta un diffuso arrossamento, di entità diversa a seconda della profondità di penetrazione degli aghi, che va dal leggero rossore fino al vero e proprio sanguinamento della zona trattata. La procedura può essere eseguita in anestesia locale, e il tempo di recupero che la cliente deve osservare - principalmente a causa dell’arrossamento della pelle - è compreso tra 1 e 3 giorni. Gonfiori, ematomi e altri effetti indesiderati sono la chiara eccezione.
Il microneedling è dunque un sistema che soddisfa abbastanza chiaramente i criteri dell’etichetta di mini-invasivo; l’importante è che sia eseguito solo ed esclusivamente da un operatore esperto, capace di impostare la procedura in modo che sia davvero sicura ed efficace. Potenziale di rischio: basso.
Iniezioni a fini volumizzanti: le iniezioni per rimpolpare e ridonare volume alle aree cedevoli del viso sono sicuramente un esempio perfetto di trattamento medico-estetico mini-invasivo. Comportano alcuni piccoli fastidi e rischi minimi per i pazienti ma, se effettuate in maniera corretta, offrono ottimi risultati senza bisogno di tempi di recupero. Potenziale di rischio: moderato.
La lista potrebbe essere ancora lunga, ma quella presentata è già una selezione sufficiente per farsi un’idea più precisa di cosa siano i trattamenti mini-invasivi e di dove risieda il loro potenziale di rischio.
La regola d’oro: proprio le procedure apparentemente più semplici e sicure possono riservare le peggiori sorprese, soprattutto se eseguite da operatori poco esperti. Mai abbassare la guardia!

Invasivo: è ancora così?

Concludiamo questa carrellata concentrandoci sui cosiddetti trattamenti invasivi. In questo caso la definizione sembra cristallina: parliamo di vere e proprie operazioni chirurgiche, durante le quali si incide la pelle e si ledono i tessuti. La questione, invece, è tutt’altro che semplice. Dov’è il confine tra trattamento mini-invasivo e trattamento invasivo? Cosa si può definire "minimamente" invasivo e cosa, invece, va considerato invasivo nel senso classico del termine? E verso quale dei due poli sta puntando l’estetica moderna?
In tutta sincerità, la verità sta che negli occhi di chi guarda. Prendiamo come esempio un intervento di lifting con fili riassorbibili: dal momento che questo trattamento comporta una piccola incisione, una cicatrice minima e una leggera necrosi, alcuni lo annoverano già tra i trattamenti invasivi; da altri, invece, viene considerato mini-invasivo perché la cicatrice che lascia è appena visibile, perché si tratta di una procedura ambulatoriale e perché il tempo di recupero è minimo. La definizione diventa più chiara se si prendono in considerazione gli interventi più complessi (come, ad esempio, le operazioni al seno o l’addominoplastica). Si tratta di classiche procedure di chirurgia estetica eseguite in anestesia totale, che lasciano una cicatrice ben visibile, necessitano di riposo assoluto e di un periodo di convalescenza non inferiore ai 10 giorni. Va detto, tuttavia, che i progressi nelle tecniche chirurgiche e anestetiche hanno contribuito a rendere molto più soft l’impatto dell’intervento sul paziente di quanto non accadesse anche solo dieci anni fa, e di accorciare considerevolmente i tempi di guarigione. Si potrebbe dire, “minimizzandoli”.

Contorni sfumati

Non esiste niente di più nebuloso del gergo specialistico di cui gli esperti amano circondarsi, e anche in questo caso è (purtroppo) così. Chi decida di addentrarsi nell’argomento se ne rende subito conto: i confini sfumano, le definizioni che sembrano chiare e inequivocabili soffrono invece di interpretazioni personali, e il più delle volte il “minimo sforzo” non implica automaticamente un “minimo rischio”.
Cosa comporta questa incertezza per i medici e i professionisti dell’estetica che lavorano ogni giorno con queste tecniche?
La prima cosa da fare è guardare con occhio critico alle promesse promozionali dei produttori, e chiedersi se gli effetti decantati e i rispettivi rischi corrispondano effettivamente alla realtà; è fondamentale impegnarsi a espandere continuamente le proprie conoscenze e le proprie competenze; soprattutto, è necessario approcciarsi a questa tematica così complessa sapendone cogliere le sfumature, e non pensarla solo in bianco e nero. Solo così il professionista dell’estetica potrà consigliare e trattare le proprie clienti in modo davvero professionale, scegliendo per loro il giusto trattamento. Non c’è nulla di più controproducente che eseguire un trattamento di cui si ha una conoscenza incompleta: oltre a essere inefficace, potrebbe addirittura essere pericoloso. E a risentirne sarebbe tanto il cliente, quanto la nostra credibilità professionale.

 

Nano vs. Micro

Nel corso dell’ultima fiera BEAUTY FORUM a Monaco, l’azienda tedesca Elementals, diretta dall’autore di questo articolo, ha presentato in anteprima Nanopen, una tecnologia simile al microneedling negli obiettivi, ma caratterizzata da una sostanziale differenza: l’assenza di aghi, che riduce il livello di "invasività" di questa procedura.

(Beauty Forum) Dottor Rösken, in cosa consiste questa nuova tecnologia?

FRANK RÖSKEN
L’idea di base è quella di aprire dei piccoli microcanali nell’epidermide per il trasporto dei principi attivi nella pelle utilizzando, al posto degli aghi, microscopiche piramidi in silicone. Studi medici hanno dimostrato che con questo metodo è possibile somministrare farmaci o vaccini senza dover ricorrere agli aghi. In medicina esistono già dei sistemi simili, ad esempio quelli che sostituiscono le siringhe di insulina per i diabetici; in Asia e negli Stati Uniti, questa tecnologia viene impiegata ormai da diverso tempo anche in campo cosmetico. È mia opinione che questa penna possa essere un valido sostituto al classico microneedling cosmetico.

(Beauty Forum) Quali sono le differenze tra una penna per needling e la Nanopen?

FRANK RÖSTEN
A prima vista, una Nanopen appare molto simile alla classica penna per needling. La differenza è che sul manipolo della prima, azionato a motore, è posizionata una siringa che non contiene aghi ma una sorta di “timbro” composto da microscopiche piramidi in silicone. Per dare un’idea della dimensione di queste piramidi, è utile fare un paragone: se in media un capello ha un diametro di circa 80 micromillimetri, la punta delle piramidi della Nanopen ha un diametro inferiore ai 10 micromillimetri. Attraverso queste piramidi è possibile aprire dei microcanali nell’epidermide in maniera completamente indolore e senza effetti collaterali, rendendo il trasporto dei principi attivi anche 5 volte superiore rispetto a una semplice applicazione topica. Otteniamo così un effetto molto simile a quello del microneedling, ma senza i disturbi che ne conseguono (fastidio, rossore…) e, soprattutto, eliminando alla radice il problema della mancata legislazione sull’uso degli aghi in estetica.

(Beauty Forum) Da dove è nata l’esigenza di sviluppare questo sistema?

FRANK RÖSTEN
L’utilizzo degli aghi in ambito estetico è da sempre molto dibattuto. Come spesso capita, i vuoti normativi diventano uno spazio per sperimentare, ma è possibile che il needling come lo conosciamo oggi negli istituti possa non avere un futuro, e diventare per legge un dispositivo medico vero e proprio (il riferimento è alla situazione tedesca; la situazione d’incertezza è però simile a quella italiana, ndr). Questo significa che l’offerta di apparecchiature per il needling diventerà via via più limitata, con un conseguente aumento dei costi; anche la formazione sarà regolata diversamente. Sostituire gli aghi con qualcosa di “meno invasivo” equivale a eliminare il problema alla radice. Questo potrebbe rendere i sistemi come Nanopen molto più appetibili per l’estetista rispetto al microneedling.

 

Dott. Frank Rösken
Chirurgo plastico e medico estetico presso la clinica Die Ästheten a Monaco di Baviera.

 

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